Colonne

Nel 1994 il Comune di Genova invita Leverone a realizzare una performance raku nella piazza antistante la Chiesa di Sant’Agostino, in quel contesto urbano del centro storico medievale, il più esteso in Europa, nel quale all’epoca si erano manifestate forti tensioni per il controllo del territorio tra la comunità locale e gli immigrati di colore.

Sullo sfondo della facciata di un edificio caratterizzato dalla tipica alternanza cromatica tra il bianco del marmo e il nero della pietra di Promontorio Leverone, ispirandosi alle antiche colonne medievali, a pianta circolare, esagonale, ottagonale della città, decise di innalzarne cinque, realizzate con moduli prodotti con la tecnica raku e di dimensioni varie (250-290 cm). Ognuna di esse richiamava la tradizionale cromia dell’edificio sullo sfondo e si caratterizzava per un particolare capitello, espressione delle consuete strutture della sua produzione: volumi plastici che si aprivano ad un avvolgente dialogo con lo spettatore. La forma antropomorfa modellata dall’artista fungeva da stimolo per una sua personale lettura del linguaggio storico della colonna. Infine, nell’alternanza tra bianco e nero e nell’armonia cromatica con l’ambiente circostante, queste opere, costruite ed innalzate in un clima di emozionante partecipazione collettiva, intendevano porsi come metafora di un contesto sociale di armonica convivenza, di cui il centro storico genovese poteva proporsi come esemplare laboratorio. Successivamente, nello studio, ha realizzato altre colonne in grès con argille e smalti di tonalità differenti.

«Leverone ha modellato le colonne e i capitelli nel suo studio di Moconesi, in Val Fontanabuona, sottoponendo i pezzi ad una prima cottura, poi ha completato l’opera sul sagrato della chiesa di Sant’Agostino, trasformandolo, per l’occasione, in una grande fornace a cielo aperto. Al di là dell’aspetto spettacolare dell’operazione va messo l’accento sul fatto che le colonne sono opere d’arte di grande valore estetico e di simbolico richiamo architettonico, pensate per essere destinate ad arredo del centro storico nel cui tessuto urbano si inseriscono con naturalezza divenendo per forma e colori, felice continuità tra passato e presente. […] Tecnicamente, il nero dei moduli è ottenuto con la riduzione (modifica del colore dovuta all’atmosfera riducente) delle terre; il modulo decorato con smalto bianco, dopo la cottura a 1000°C, è sottoposto anch’esso al trattamento di riduzione per ottenere la particolare superfice vetrificata. E l’effetto dei due toni contrapposti è di grande fascino per la morbidezza del nero e la lucentezza del bianco istoriato. I capitelli, modellati in grandi forma plastiche, sono formati da volumi strutturali rappresentanti forme di animali o figure umane percepibili a seconda del punto di osservazione. Questi capitelli hanno comportato difficoltà tecniche di notevole portata, dovute sia alla dimensione dell’opera, sia al trasferimento dal forno al trattamento di riduzione.» Mura Nalda, Le grandi ceramiche di Adriano Leverone, “Gazzetta del Lunedì – Cronaca Delle Arti”, 1 agosto 1994.

Torna in alto